Via Gaggio nacque con un grande progetto; informare adeguatamente i cittadini sulle tematiche ambientali dell’area Malpensa e al tempo stesso, preparare un futuro per Via Gaggio e un territorio senza terza pista nella consapevolezza che l’aeroporto poteva crescere con quello che c’era. Nonostante l’ampio respiro di un comitato tanto ristretto quanto scomodo, molti additavano la nostra protesta non solo come “brancaleonesca” ma da effetto nimby, una delle tante proteste dei “no”, ambientalisti stupidi, comunisti e contro il progresso. Gente che invece di pensare alle nuove generazioni e al lavoro, cercavano di opporsi a quella verghiana fiumana del progresso che volente o nolente avrebbe spazzato via tutto e tutti, compresa ogni burocrazia statalista che per ogni opera richiede una VIA o VAS a seconda dei casi (procedure complesse e in realtà nate con un intento tutt’altro che burocratico).
Inutile dire che quando siamo nati, nessuno tra noi, nel clima omologante dello sviluppo a tutti i costi e del leaderismo di matrice liberista, credeva minimamente nella possibilità di una vera vittoria. Le resistenze erano molte, il lavoro da fare troppo e la cecità politico-istituzionale tale da far prevedere una sconfitta certa. Eppure si credeva nel miracolo e al tempo stesso si voleva agire per evitare la morte di un parco bellissimo, la punta dell’iceberg di politiche fallimentari a livello economico, sociale e ambientale. SEA accelerava come il governo di allora un giorno sì e uno no, accelerava sulla “legge bavaglio” (quella sulle limitazioni alla libertà di stampa) o sul federalismo. Il muro sembrava impenetrabile, chi amministrava e amministra la Lombardia era certo dell’efficienza di una regione che guardava agli affari e alla finanza, che prendeva come modello le regioni più sviluppate del pianeta. I problemi erano altri si diceva, la legge obiettivo sulle Grandi Opere (del 2001), il rilancio dei consumi e dell’economia secondo ricette liberiste, la diminuzione della pressione fiscale, uno stato leggero (non in senso di “condiviso dai cittadini” ma di inesistente riguardo alle politiche sociali).
L’ambiente sempre in secondo piano, semplice trastullo di pochi poeti romantici, filosofi perdigiorno o sinistroidi in cerca di sè e insoddisfatti del mondo, in realtà in cammino, impegnati in una ricerca che fa paura a chi ritiene di già possedere risposte preconfezionate, quelle del mercato globale, di una fede che nella sua assolutizzazione inevitabilmente diventa feticcio (qui parlo di fedi religiose in generale e di una loro possibile declinazione, non della fede in sè in quanto anch’essa ricerca) e che come una sorta di “prontuario” sa dire tutto e di tutto. Fedi politiche o religiose, poco importa, la stanchezza può portare ad irrigidirsi, la confusione dei tempi attuali a perdere la bussola, e cosa di meglio di uno “schemino”, di un bigino tipo quelli che eravamo soliti usare a scuola quando spesso avevamo non studiato ma studiacchiato?
In questo clima nacque il comitato, nell’anno della biodiversità, il 2010, ma anche un anno nero per la natura italiana, indici di urbanizzazione elevati, un ministero dell’ambiente ridotto al lumicino, i parchi nazionali senza fondi, il parco dello Stelvio ridotto a parco interprovinciale (di fatto il ddl del governo Berlusconi sulla cosiddetta “rottamazione” del parco dello Stelvio giace ancora sul tavolo di G.Napolitano e non si è per fortuna ancora convertito in legge) e la legge di riforma delle aree protette che, sulla base del decreto mille proroghe, doveva riordinare il sistema di aree protette regionali in Lombardia ed Emilia (ma anche in altre regioni) e che nella forma iniziale soprattutto nella nostra regione rischiava di depotenziare l’intero sistema. Nel frattempo per recepire le “direttive europee” le diverse regioni italiane sulla base di “rete natura” (il sistema delle aree protette dell’Unione Europea) approvavano le “reti ecologiche”. Il sistema delle aree protette italiane versava in una situazione di profonda crisi, le AMP (aree marine protette italiane) rischiavano per mancanza di fondi la chiusura. E in Lombardia? EXPO, intitolato “feeding the planet” (nutrire il pianeta) nella sua versione originaria comportava ambiziosi progetti di riqualificazione ambientale ma un consumo del suolo elevatissimo. Il Parco Sud a rischio di cementificazione per far contente lobbies immobiliari, certo prima il lavoro, si diceva, e semmai poi l’ambiente. Chi si opponeva alle autostrade inutili (penso alla TOEM per ora bloccata che nel progetto originario dovrebbe tagliare in due il Parco del Ticino e quello agricolo) veniva tacciato per retrogrado e oppositore del vero partito progressista, quello che noi (e siamo in grande compagnia) definiremmo dei cementificatori sempre e comunque. La frase dei politici; “costruiamo nel rispetto del territorio” e nel caso di Malpensa; “una terza pista ecocompatibile”! Frasi di questo tipo circolavano e un Masterplan che valeva 450 ettari di territorio pregiato e unico. Questo il clima di allora, cosa è cambiato?
Purtroppo il Masterplan è ancora vivo e vegeto ma noi non siamo nimby, frutto di una cultura dei no a priori, siamo l’espressione di un territorio vastissimo che si estende ben oltre i comuni del CUV comprendendo un’area assai vasta, province e una regione, il Piemonte (che ha fatto anch’essa delle osservazioni sul Masterplan), che non vuole la terza pista e non crede più alla favoletta dei posti di lavoro. Un modo ingeneroso di fare politica è pensare di massacrare la natura per rilanciare l’economia, gli esempi citati sopra valgono per un periodo in cui l’economia era stagnante (ancora la crisi non era così virulenta come adesso ma certamente i segnali dell’economia erano preoccupanti) e il massacro del territorio italiano, il “piano casa” come anche altre Grandi Opere hanno piuttosto favorito pochi, e non i più. L’idea di fondo è che quando si svende il nostro patrimonio artistico e naturale si è in una grave situazione di “degrado morale”, si servono i padroni di turno, gli interessi di parte ed intanto “ti” portano via terre e biodiversità. Si annullano progetti ecosostenibli, quei progetti del rilancio di quell’Italia minore, dei borghi e dei parchi che nell’ultimo decennio hanno voluto contrastare una politica miope.
Ed intanto intorno a Via Gaggio si facevano studi complessi che analizzavano questioni trasportistiche, ambientali e normative, all’interno di un orizzonte ideologico di riferimento “flessibile” anche se rigoroso. La cosiddetta battaglia di civiltà era questo, informare, non lasciarsi abbindolare da “false promesse” e da letture parziali dell’economia e della statistica. Quello che fanno spesso i manager di SEA (ma non solo) che con una profusione di dati non veritieri o poco attendibili cercano di far presa sulle masse raccontando loro la favole di un’azienda che senza la terza pista deve chiudere. Ebbene i lavori dei vari esperti hanno mostrato nella loro complessità di essere tutt’altro che ingenuità per fanciulli innamorati della natura e di andare al cuore del problema. Non solo esiste un’alternativa alla terza pista di Malpensa ma anche la possibilità di puntare su altre risorse (territorio ed ambiente) e ridisegnare in modo più razionale il sistema aeroportuale lombardo (non parlo del Piano Passera).
Intanto il Forum Salviamo il Paesaggio ha portato a casa un ddl sul consumo del suolo agricolo (ancora non legge effettiva e non l’optimum in quanto non sostiene l’opzione “consumo zero”, comunque un gran risultato), si parla di biodiveristà, di un modo alternativo e più etico di consumare e la zona del Gaggio potrebbe diventare (se Dio vuole) un SIC, sito di importanza comunitaria e una nostra possibile vittoria (anche se un pessimismo di fondo permane in quanto la procedura di VIA non si è ancora conclusa e rimane quindi aperta la possibilità di un “esito positivo” al Masterplan) e la nostra battaglia potrebbe produrre un effetto domino a favore dell’ambiente italiano e non solo…Questo l’effetto nimby? Non mi pare, fintantochè non si uscirà dalla logica che solo “costruendo” in maniera forsennata si produce ricchezza, invece che puntare sulle nostre effettive risorse, ricchezze naturalistiche, paesaggistiche ed artistiche si porrà su uno stesso piano ciò che è frutto di una cultura dell’opposizione per partito preso con ciò che nasce da ben altri bisogni. Il rischio? Una grande cantonata quando sarà troppo tardi…a causa di una cattiva informazione e Via Gaggio è anche questo, una lotta per un’informazione più corretta e adeguata.
Nicola Balice