Archive for the ‘Prendiamola con filosofia…’ Category

Il coraggio di idee forti…

Da più di due anni uso titoli più o meno ripetitivi; non ho tanta voglia di cercare il titolo che faccia un’impressione particolare, un titolo seducente; come dire ho confezionato un “prodotto di mercato” appetibile, compratelo! Ritengo però anche, che questo modo di pensare, anche se ha delle sue ragioni a mio parere condivisibili, non sia del tutto corretto. Mi spiego; le idee forti nascono da menti forti e critiche, non da menti pigre e assuefatte ad un modo di vivere poco appagante sul piano dei valori. Che non si viva di valori o di ideali ma di economia pratica, beh, questo è un modo per dire che l’economia pratica intesa come “deresponsabilizzazione” sia divenuto l’ambito ristretto in cui vivere.

Mi spiego meglio, in un suo saggio che io lessi qualche anno fa, C.Lasch, “L’Io Minimo”, sosteneva come di fronte ad una visione frammentaria della vita, di un mercato che ci lusinga con proposte seducenti ma per il momento fugaci, è facile non sviluppare un corretto pensiero critico, una visione d’insieme che anche di fronte ai pericoli di un mondo che, come il nostro, cambia assai velocemente, non ci lasci preda di paure primordiali (l’ansia di separazione da una totalità madre, simbolo di una non avvenuta identificazione secondo la psicanalisi). La perdita di un presunto senso di totalità primordiale da riconquistare a tutti i costi, ne sarebbe la conseguenza; il radicamento di sè stessi nel proprio angusto mondo forse ricordo della primordiale “Totalità della Madre-Simbolica “,quell’esclusivo interesse per il nostro “particulare” (diceva il Guicciardini in riferimento all’Italia e alla sua crisi valoriale, siamo nel cinquecento, un periodo intenso e contraddittorio insieme, il Rinascimento ma anche la discesa in Italia degli eserciti stranieri) del vivere ora per ora senza futuro.

Essere senza futuro significa non essere “vivi”, non  umani, gli animali vivono adesso per perpetuarsi, generare prole e apparentemente consegnarsi ad una vita attaccata a sè stessa, una vita che non vive la dimensione del senso. Eppure, io che condivido questa visione del filosofo boemo J.Patocka, aggiugerei secondo le idee espresse da H.Bergson nel suo libro, “L’evoluzione creatrice” che di fatto, la natura riserva a sè stessa una sua libertà intrinseca, la differenza è che l’essere umano per essere libero lo deve essere da umano e non da “pianta”; mi spiego, anche una visione ambientalista in senso più ampio non può escludere che l’evoluzione biologica ci ha progettati per essere quello che siamo, riconoscendo però, quegli aspetti compensativi che una specie come la nostra in prossimità dell’essere (direbbe Heidegger), non può escludere, essi sono essenziali per liberarci da una perfida logica antropocentrica che fa male non solo al pianeta ma in primo luogo a noi stessi.

Cosa significa essere capaci di futuro? A mio avviso due cose; pensarsi domani e dopo, pensare e al tempo stesso innovare garantendo però una continuità; se “Pòlemos di tutte le guerre è padre” diceva Eraclito, è anche vero che guardare la storia dal punto di vista della notte (sempre J.Patocka) o dal punto di vista del “notturno” (C.G.Jung) ci può aiutare a capire e a prospettare un mondo diverso, perchè la forza di chi sopravvive al dramma esistenziale ci pone nella condizione di pensare a qualcosa di diverso per noi stessi e l’umanità intera. I nostri diritti, quelli della libertà e uguaglianza, frutto di guerre cruente, la Rivoluzione francese o quella d’Ottobre in Russia ci potrebbero forse insegnare una cosa; gli orrori di queste due vicende, liberarono una quantità d’energia spropositata, energie “inconscie” ma a servizio delle forze del giorno. Cosa rimase se non un’autocritica e la solidarietà di chi, pur nella controtestimonianza di tali eventi, continuò a credere in certi valori? Non fu il desiderio insieme di stabilità economica e di una vita creativa (nel senso di inedita e aperta al nuovo) a rendere possibile un modo diverso e rivoluzionario di pensare l’umano?

Pertanto, attenzione a non lasciarsi sedurre da false promesse, da spot pubblicitari che necessitano di un utente ingenuo, che ci rassicurano nelle nostre misere certezze e di una fede, politica o religiosa poco importa, ridotta a frasi poco interiorizzate, a slogan fermo restando la niciana volontà di potenza; a seconda del padrone di turno o dell’interesse contingente, così cambia il mio atteggiamento. Chi pensa così, chi auspica al giusto compromesso, spesso non sa di cosa sta parlando; un esempio è il Protocollo d’Intesa sui 12 milioni di SEA sottoscritto dai tre comuni di sedime aeroportuale (Lonate, Ferno e Somma) fatto passare come un semplice Protocollo e non un assenso implicito al Masterplan. Proprio al termine della stagione formigoniana, una sttagione vissuta dal punto di vista del solo giorno, una stagione di pseudo-progresso e di appoggio ad un efficientismo solo di facciata.

La stessa terza pista, uno degli interventi più distruttivi che incombono sul nostro territorio, un intervento pericoloso non solo perchè distruggerebbe un’intero ecosistema ma perchè rappresenterebbe l’inizio di una sostanziale messa in discussione del concetto di “natura protetta”. Dal punto di vista del giorno anche “Il coraggio di idee forti…” farebbe pensare ad una nuova stagione (che io auspico inizi, sia ben chiaro) di politici che vogliono effettivamente cambiare qualcosa e segnare una discontinuità. Attenzione però, la democrazia, quella vera, ha un costo elevato, il mercato inteso come riduzione a merce-feticcio di ogni oggetto (non considero la questione in un’ottica marxista se non solo parzialmente) può ridurre questa frase al solito slogan di un cambiamento che ripete solo sè stesso, il non cambiamento.

Cosa fare? Sicuramente non cedere all’antipolitica,  non sviluppare idee politiche (o anche religiose) di superficie (ancora prospettiva del giorno o diversamente razionale) che ci facciano interiorizzare poco ciò in cui crediamo. La differenza tra il fanatico e chi crede in profondità (fede politica o religiosa) non è d’intensità, per cui è tanto più sano quanto chi meno crede. No, la differenza è qualitativa; il fanatico dice, “adesso occorre un cambiamento ce lo chiede l’Europa”, oppure “lo Spread è un imbroglio europeo e tedesco, una sorta di complotto occulto”, chi crede profondamente e semplicemente è sempre alla prova, sempre di fronte a nuove sfide intepretative (che  comprendono in qualche modo l’irrazionale qui definito come la prospettiva del notturno; una prospettiva che è insieme limite), di fronte a quell’Alterità che è il tratto distintivo dell’umano….(e non di certo per una sorta di presunta superiorità della nostra specie). Purtroppo anche vari esperti usano l’Alterità per profitti o convenienze parziali, usare un’istituzione (anche religiosa) o un meccanismo del consenso (ad esempio una democrazia che accetta tutto e il contrario di tutto) per un tornaconto personale o per rimanere radicati nella dimensione meramente oggettuale, il dominio ontico (secondo Heidegger quello delle cose o “enti”) al di sotto del quale si perde il vero senso delle cose, e della vita. Una cosa privata del suo significato diventa un feticcio, così pure tante belle parole, anche infarcite di filosofia o slogan ad effetto, possono colpire solo i più ingenui. Per rimanere in tema i 12 milioni di SEA, e l’idea della Super-super Malpensa che ci fa volare alti seduce, ma dietro c’è il nulla o un sistema di convenienze politiche che poco hanno a che fare con la vera economia. Il futuro lo si progetta da ora, in una discontinuità che però non nega la continuità, la mantiene come donatrice di senso, allo stesso modo in cui lo è la nostra storia personale e collettiva.

nicola72

Balice Nicola

La politica dello sbando…

La dichiarazione di alcuni partiti locali riguardo al problema delle case delocalizzate nei tre comuni di Lonate, Ferno e Somma riflette un malcostume evidente:  non dire la verità, soffermarsi su pseudo-tecnicismi, esibire una cultura che non si possiede per raggirare chi per pigrizia non vuole andare a fondo.

Chi ragiona in questi termini pecca a mio avviso di forte miopia: accettare che una Società per Azioni gestisca il territorio e trasformi intere comunità in aziende, beh, tutto questo è anti-etico. Si parla di posti di lavoro, si snocciolano cifre che nessuno può verificare, ma che i tecnici definiscono non veritiere. In America è nata la green economy, l’America di Obama, della speranza, che investe in un’economia diversa e che crede nel progresso, delle persone e non di politici e manager. Dire che SEA può fare la terza pista anche con il territorio contro, è come dire che la battaglia non vale un impegno deciso e coraggioso. Che il territorio sia più che un semplice “sostrato neutro”, questo lo sanno praticamente tutti, e non solo chi milita in associazioni ambientalisti, la stessa Lega Nord almeno a livello locale ha capito la valenza socio-economica delle nostre bellezze naturali e ambientali. Il progresso si inscrive sempre in una continuità, nella piena assunzione di una responsabilità, nei confronti di noi stessi e di una storia, individuale e comunitaria.

Riguardo ai posti di lavoro, Malpensa, trasformandosi in un aeroporto efficiente, integrato nella realtà territoriale circostante e puntando sull’ ecosostenibilità (non a parole)  può creare lavoro; quello in sovrappiù, semmai ce ne sarà, può naturalmente essere creato altrove in altre realtà diverse anche se poi non così distanti; Montichiari, Linate e Orio al Serio creano infatti occupazione come Malpensa. Lavorare in sinergia per un’offerta qualitativamente alta ed agire con eventuali ampliamenti laddove il territorio può permetterselo (penserei a Montichiari anche se le due piste attualmente esistenti sono sottoutilizzate mentre Malpensa già così com’è è sovradimensionata). Per finire, definirei poco coraggiosa la linea di chi accetta 12 milioni in cambio di un non ricorso nel caso di parere positivo alla VIA in relazione al Masterplan; un cedere per ben poco, difendendo con bizantinismi di oggi una politica fallimentare, che promette ciò che non mantiene e che crea guasti che, come in questo caso, non potranno mai essere riparati. Tanto più che SEA dovrebbe già in relazione a Malpensa 2000 agire per demolire ciò che a suo tempo dovette essere delocalizzato; la firma di allora (citata nell’articolo dell’UDC di Lonate) nasceva dall’idea che delle compensazioni fossero possibili; di errori ce ne furono tanti, questo del Masterplan sarebbe letale e, tutto per la nulla lungimiranza di alcuni politici.

Il populismo nasce dall’incertezza e da una momentanea convergenza di promesse fasulle e ricerca di risposte facili; forse i politici che vogliono questa linea morbida nei confronti del Masterplan dicendo che non è tale, vogliono immolarsi ad una causa che li trascende, ma non in senso ideale bensì in quello di una politica sempre più povera e chiusa in “schemi programmatici” sempre più fallimentari. La mia provocazione? I politici dovrebbero studiare filosofia, sociologia e economia, imparando come quest’ultima (l’economia) non sia poi così esatta; ed essere selezionati in base alla loro motivazione di combattere senza se e senza ma, per il territorio e la loro gente. Perchè la disoccupazione impera (e non da adesso che c’è la crisi) e i centri commerciali con annessi parcheggi proliferano? Una formazione complessa e interdisciplinare nell’approccio aiuta nell’articolare politiche adeguate e non miopi. Questo Protocollo anche ai meno attenti appare un imbroglio in termini di impostazione, e puntando sulla pigrizia e un malcontento diffuso (che nasce da una grave carenza di ideali) si vuol far passare il tutto come un semplice atto di coraggio per porre termine ad una situazione di emergenza; mi dispiace solo che fin troppi ci credono! fossero anche solo due.

Perde la politica, vince l’economia, si dice, come dire che l'”apparato tecnico” (metafora che indica un sistema politico altamente funzionale) privato della sua zavorra ideologica funziona assai meglio e con efficienza, l’ideologia è la politica tout court; non esiste distanza, non esiste problema o se questo si presenta la soluzione è sempre “tecnico-funzionale” mai complessa e ideologica. E’ evidente che ragionare in questi termini porta ad uno svuotamento del discorso politico, ad una dismissione delle proprie responsabilità nei confronti della collettività; si dice: “lo richiede il mercato” oppure; “non si può andare contro il progresso”. Si citano autori liberisti (spesso leggendovi ciò che si vuole leggere), si dà fiducia cieca al mercato e al meccanismo “domanda-offerta”, un meccanismo che si vuole (o dopo la crisi voleva) perfetto. Una sorta di configurazione omeostatica, di quelle che avvengono nel nostro organismo dove i valori dei parametri interni (“enterocettivi” o relativi agli organi interni) vengono costantemente monitorati da una parte del nostro cervello in maniera “non cosciente”. (l'”enterocezione” presenta infatti questa caratteristica, differentemente dalla “proprio-cezione” che riguarda invece la percezione muscolo-scheletrica del nostro corpo). Chi monitora l’andamento dei mercati? in realtà pseudo-tecnicismi o meglio letture parziali della realtà e quindi ideologiche al massimo grado.

L’ideologia muore con la politica o la politica muore con l’ideologia? In realtà a morire non è l’ideologia ma una sua concrezione storica; il “sistema filosofico” onnicomprensivo da un lato, un sistema che “detta leggi di funzionamento del reale” o la sua controparte “scientista” per cui il vero reale è ciò che appare ed è matematizzabile, riducibile a rappresentazioni di tipo “quantitativo”. L’ideologia del mercato da che parte sta? Se intesa secondo una logica economicista (non economica) dalla parte di chi ritiene l’oscillazione ontologica (tra essere e non essere) fondamentale per intervenire e dominare il reale; pertanto l’ideologia di sfondo è quella dei “meri fatti”; nulla è stabile salvo le leggi del divenire. Quest’ultime (fatto eclatante nell’impostazione filosofica contemporanea) non sono nemmeno epistemicamente fondate che è lo stesso come dire che il “reale così com’è” potrebbe o avrebbe  potuto essere diverso.

Rimane centrale la domanda dello spazio da riservarsi alla politica, questa non può non possedere “valori stabili”, la differenza risiede forse nella loro “incarnazione storica” o in una visione ideologica che scavalca le altre ideologie non perché superiore ma semplicemente perché ogni sguardo sulla realtà è sempre relativo e parziale. Mai conclusivo! Sbaglia chi pone a fondamento del tutto le “leggi economiche” sempre parziali, così come sbaglia chi fa del relativismo (un cattivo relativismo) la base di ogni affermazione e insieme negazione; come il Protocollo d’Intesa che afferma e nega insieme il Masterplan. Come fare vera politica? Idealmente è facile, a parole posso dire con “responsabilità” che è lo stesso che dire di “assumere il problema come guida” (quest’impostazione è del filosofo boemo J.Patocka), non proporre idee facili del tipo; delocalizzazioni? demolizioni se passa il Masterplan e con un abile sofismo cercare di negarne la contraddizione. Platone credeva nella vera politica, quella ideale dei “politici filosofi” non perché studiosi di filosofia (a ben vedere la filosofia nemmeno esiste come sapere ma come “tensione verso…”), ma in quanto sedotti letteralmente dal desiderio della verità, vero antidoto contro ogni forma di “arrivismo”. Una sublimazione di pulsioni sessuali secondo lo schema freudiano? Forse, anche perchè questa tensione verso la verità è erotica, relazione con un “tu”, relazione etica al massimo grado in quanto l'”egli” secondo la prospettiva di Levinas introduce la “legge morale” come “legge divina” che si fa parola scritta; con il rischio però di letture integraliste. Non è Gesù venuto per ribaltare leggi farisaiche, povere eticamente…non è venuto (per chi crede) a sovvertire queste leggi per introdurne di nuove? Le leggi del cuore? Non è questa una forma di erotismo o una tendenza verso il “Dio-uomo”? che fa scuotere la terra sotto i piedi e chiede di rinunciare alle nostre misere certezze e alle nostre ambizioni sfrenate che depotenziano il filosofo (che è tensione verso…) rendendolo un sapiente o pseudo-esperto…tecnico che snocciola numeri o dati fasulli…Direi che porsi questi problemi è già in gran parte risolverli, non del tutto; questo è certo, ma ci ritroveremmo sicuramente su un cammino ben più saldo, proprio nel momento in cui certi atteggiamenti dati per naturali o irriflessi verrebbero interrogati e posti a tema.

ciao

Nicola72

nicola balice

Oltre Nimby…

Via Gaggio nacque con un grande progetto; informare adeguatamente i cittadini sulle tematiche ambientali dell’area Malpensa e al tempo stesso, preparare un futuro per Via Gaggio e un territorio senza terza pista nella consapevolezza che l’aeroporto poteva crescere con quello che c’era. Nonostante l’ampio respiro di un comitato tanto ristretto quanto scomodo, molti additavano la nostra protesta non solo come “brancaleonesca” ma da effetto nimby, una delle tante proteste dei “no”, ambientalisti stupidi, comunisti e contro il progresso. Gente che invece di pensare alle nuove generazioni e al lavoro, cercavano di opporsi a quella verghiana fiumana del progresso che volente o nolente avrebbe spazzato via tutto e tutti, compresa ogni burocrazia statalista che per ogni opera richiede una VIA o VAS a seconda dei casi (procedure complesse e in realtà nate con un intento tutt’altro che burocratico).

Inutile dire che quando siamo nati, nessuno tra noi, nel clima omologante dello sviluppo a tutti i costi e del leaderismo di matrice liberista, credeva minimamente nella possibilità di una vera vittoria. Le resistenze erano molte, il lavoro da fare troppo e la cecità politico-istituzionale tale da far prevedere una sconfitta certa. Eppure si credeva nel miracolo e al tempo stesso si voleva agire per evitare la morte di un parco bellissimo, la punta dell’iceberg di politiche fallimentari a livello economico, sociale e ambientale. SEA accelerava come il governo di allora un giorno sì e uno no, accelerava sulla “legge bavaglio” (quella sulle limitazioni alla libertà di stampa) o sul federalismo. Il muro sembrava impenetrabile, chi amministrava e amministra la Lombardia era certo dell’efficienza di una regione che guardava agli affari e alla finanza, che prendeva come modello le regioni più sviluppate del pianeta. I problemi erano altri si diceva, la legge obiettivo sulle Grandi Opere (del 2001), il rilancio dei consumi e dell’economia secondo ricette liberiste, la diminuzione della pressione fiscale, uno stato leggero (non in senso di “condiviso dai cittadini” ma di inesistente riguardo alle politiche sociali).

L’ambiente sempre in secondo piano, semplice trastullo di pochi poeti romantici, filosofi perdigiorno o sinistroidi in cerca di sè e insoddisfatti del mondo, in realtà in cammino, impegnati in una ricerca che fa paura a chi ritiene di già possedere risposte preconfezionate, quelle del mercato globale, di una fede che nella sua assolutizzazione inevitabilmente diventa feticcio (qui parlo di fedi religiose in generale e di una loro possibile declinazione, non della fede in sè in quanto anch’essa ricerca) e che come una sorta di “prontuario” sa dire tutto e di tutto. Fedi politiche o religiose, poco importa, la stanchezza può portare ad irrigidirsi, la confusione dei tempi attuali a perdere la bussola, e cosa di meglio di uno “schemino”, di un bigino tipo quelli che eravamo soliti usare a scuola quando spesso avevamo non studiato ma studiacchiato?

In questo clima nacque il comitato, nell’anno della biodiversità, il 2010, ma anche un anno nero per la natura italiana, indici di urbanizzazione elevati, un ministero dell’ambiente ridotto al lumicino, i parchi nazionali senza fondi, il parco dello Stelvio ridotto a parco interprovinciale (di fatto il ddl del governo Berlusconi sulla cosiddetta “rottamazione” del parco dello Stelvio giace ancora sul tavolo di G.Napolitano e non si è per fortuna ancora convertito in legge) e la legge di riforma delle aree protette che, sulla base del decreto mille proroghe, doveva riordinare il sistema di aree protette regionali in Lombardia ed Emilia (ma anche in altre regioni) e che nella forma iniziale soprattutto nella nostra regione rischiava di depotenziare l’intero sistema. Nel frattempo per recepire le “direttive europee” le diverse regioni italiane sulla base di “rete natura” (il sistema delle aree protette dell’Unione Europea) approvavano le “reti ecologiche”. Il sistema delle aree protette italiane versava in una situazione di profonda crisi, le AMP (aree marine protette italiane) rischiavano per mancanza di fondi la chiusura. E in Lombardia? EXPO, intitolato “feeding the planet” (nutrire il pianeta) nella sua versione originaria comportava ambiziosi progetti di riqualificazione ambientale ma un consumo del suolo elevatissimo. Il Parco Sud a rischio di cementificazione per far contente lobbies immobiliari, certo prima il lavoro, si diceva, e semmai poi l’ambiente. Chi si opponeva alle autostrade inutili (penso alla TOEM per ora bloccata che nel progetto originario dovrebbe tagliare in due il Parco del Ticino e quello agricolo) veniva tacciato per retrogrado e oppositore del vero partito progressista, quello che noi (e siamo in grande compagnia) definiremmo dei cementificatori sempre e comunque. La frase dei politici; “costruiamo nel rispetto del territorio” e nel caso di Malpensa; “una terza pista ecocompatibile”! Frasi di questo tipo circolavano e un Masterplan che valeva 450 ettari di territorio pregiato e unico. Questo il clima di allora, cosa è cambiato?

Purtroppo il Masterplan è ancora vivo e vegeto ma noi non siamo nimby, frutto di una cultura dei no a priori, siamo l’espressione di un territorio vastissimo che si estende ben oltre i comuni del CUV comprendendo un’area assai vasta, province e una regione, il Piemonte (che ha fatto anch’essa delle osservazioni sul Masterplan), che non vuole la terza pista e non crede più alla favoletta dei posti di lavoro. Un modo ingeneroso di fare politica è pensare di massacrare la natura per rilanciare l’economia, gli esempi citati sopra valgono per un periodo in cui l’economia era stagnante (ancora la crisi non era così virulenta come adesso ma certamente i segnali dell’economia erano preoccupanti) e il massacro del territorio italiano, il “piano casa” come anche altre Grandi Opere hanno piuttosto favorito pochi, e non i più. L’idea di fondo è che quando si svende il nostro  patrimonio artistico e naturale si è in una grave situazione di “degrado morale”, si servono i padroni di turno, gli interessi di parte ed intanto “ti” portano via terre e biodiversità. Si annullano progetti ecosostenibli, quei progetti del rilancio di quell’Italia minore, dei borghi e dei parchi che nell’ultimo decennio hanno voluto contrastare una politica miope.

Ed intanto intorno a Via Gaggio si facevano studi complessi che analizzavano questioni trasportistiche, ambientali e normative, all’interno di un orizzonte ideologico di riferimento “flessibile” anche se rigoroso. La cosiddetta battaglia di civiltà era questo, informare, non lasciarsi abbindolare da “false promesse” e da letture parziali dell’economia e della statistica. Quello che fanno spesso i manager di SEA (ma non solo) che con una profusione di dati non veritieri o poco attendibili cercano di far presa sulle masse raccontando loro la favole di un’azienda che senza la terza pista deve chiudere. Ebbene i lavori dei vari esperti hanno mostrato nella loro complessità di essere tutt’altro che ingenuità per fanciulli innamorati della natura e di andare al cuore del problema. Non solo esiste un’alternativa alla terza pista di Malpensa ma anche la possibilità di puntare su altre risorse (territorio ed ambiente) e ridisegnare in modo più razionale il sistema aeroportuale lombardo (non parlo del Piano Passera).

Intanto il Forum Salviamo il Paesaggio ha portato a casa un ddl sul consumo del suolo agricolo (ancora non legge effettiva e non l’optimum in quanto non sostiene l’opzione “consumo zero”, comunque un gran risultato), si parla di biodiveristà, di un modo alternativo e più etico di consumare e la zona del Gaggio potrebbe diventare (se Dio vuole) un SIC, sito di importanza comunitaria e una nostra possibile vittoria (anche se un pessimismo di fondo permane  in quanto la procedura di VIA non si è ancora conclusa e rimane quindi aperta la possibilità di un “esito positivo” al Masterplan) e la nostra battaglia potrebbe produrre un effetto domino a favore dell’ambiente italiano e non solo…Questo l’effetto nimby? Non mi pare, fintantochè non si uscirà dalla logica che solo “costruendo” in maniera forsennata si produce ricchezza, invece che puntare sulle nostre effettive risorse, ricchezze naturalistiche, paesaggistiche ed artistiche si porrà su uno stesso piano ciò che è frutto di una cultura dell’opposizione per partito preso con ciò che nasce da ben altri bisogni. Il rischio? Una grande cantonata quando sarà troppo tardi…a causa di una cattiva informazione e Via Gaggio è anche questo, una lotta per un’informazione più corretta e adeguata.

Nicola Balice

Facciamo i menagrami…

Titolo un pò insolito, eppure stavolta voglio giocare non all’ottimista ingenuo (forse non lo sono mai stato, ho sempre e solo cercato di vedere al termine di un tunnel una luce o una possibilità di schiarita) ma al menagramo, alla Cassandra della situazione. Giocherò questa parte con un intento;  innanzitutto perchè è terapeutico a volte prepararsi al peggio e con una buona dose di ironia mettere a tacere la rabbia per riutilizzarla in un secondo momento. Noi tutti sappiamo che l’ironia è una forma di sano distanziamento, un modo per sdrammatizzare pur sapendo che c’è un dramma in atto. Dalle parti di Lonate si respira forse aria di rassegnazione, qualcuno ci ha fatto il callo, semplicemente se ne frega, qualcun altro troppo preso da una quotidianità difficile (come per molti) pensa forse di non avere il tempo per queste cose e cerca di non vederle. Infatti le difficoltà sono di varia natura, per molti più esistenziali che economiche, difficoltà nel trovare un punto fermo in questo marasma, nei vari gossip della politica quotidiana, nelle varie azioni di “spending review” e nelle varie esternazioni di crisi dell’euro e rischio implosione eurozona. Molti lasciano che sia, e forse la terza pista è una non priorità per molti. Tanta rassegnazione e i comuni, le province e un intero territorio che si mobilitano, ed intanto la zona di Tornavento e Via Gaggio diventano Land of Tourism, una sorta di riconoscimento provinciale per una realtà bella, splendida, che non può morire perchè un Piano Aeroporti, (riesumazione da parte del ministro alle infrastrutture C.Passera di un vecchio piano firmato Matteoli), prevede 40 milioni di passeggeri entro il 2030 e una terza pista più polo logistico e diverse infrastrutture. Il vero assente è il Parco, il nostro bellissimo Parco che sulla base di una presunta occupazione rischia di scomparire. Solo cifre, la statistica lo sappiamo non dice tutto, dice solo delle cose, ne tace altre, mette in evidenza solo alcune problematiche (ancora occupazionali) e lo fa in maniera non solo parziale ma arbitraria.

Leggiamo sui giornali, solo alcuni in verità e solo per certi articoli, titoli trionfalistici, castelli di sabbia, l’hub del Mediterraneo, ponte tra Est ed Ovest e tanta occupazione per tutti. Ma perchè proprio Malpensa? Perchè i lavoratori di Malpensa che spesso lavorano non sempre in condizioni ottimali devono trarre benefici da un intervento infrastrutturale del tipo di quelli previsti dal Masterplan? e non invece puntare sull’esistente e creare sinergia tra gli aeroporti invece che concorrenza? che invece danneggia Malpensa a vantaggio di altri scali. Il mercato decide non per ragioni ambientali, per comodità, per efficienza, decide di andare altrove, e la presenza di Orio e Linate, oltre che di un aeroscalo nel bresciano creano non pochi problemi. Gli articoli che leggo in questi giorni anche quelli più lungimiranti e meno trionfalistici nel senso indicato sopra non parlano di questo territorio…che vuole continuare a vivere.

Fin qui cose già dette, trite e ritrite, cose che già altri  che si occupano (diversamente da me) di ambiente più su un piano giuridico-ambientale che socio-culturale (sebbene le cose non vadano per scompartimenti stagni) hanno già presentato su questo blog; e in maniera direi efficace. La questione di Malpensa rimane economica ma anche politica, la dirigenza SEA afferma che la politica è sempre stata nemica di Malpensa, noi affermiamo invece che il progetto poteva avere un senso ma all’insegna dell’ecosostenibilità, tenendo conto che siamo in pieno parco e non nel deserto. Le aree intorno sono popolate, vi sono paesi che tra PGT e piani di rischio sono penalizzati, un indotto che figura come legato all’aeroscalo ma che di fatto risente di una concorrenza sleale. A partire dagli alberghi ma come già detto non solo. Il polo logistico, una vera e propria speculazione immobiliare, che a costo zero in termini di IMU verrebbe ad occupare la zona della brughiera. Si sconta il peccato originale di Malpensa ma invece che puntare su innovazione e sosteniblità ambientale si rimane fermi all’idea di due anni fa; si vuole la terza pista e noi, pur muovendosi le istituzioni (a volte in maniera non sempre unitaria) attendiamo il verdetto della commissione VIA/VAS.

A questo punto due osservazioni; passiamo dal piano fattuale dove un minimo di considerazioni di attualità andavano fatte, ad un piano che per comodità definirei più antropologico. Già Aristotele rimase, tra le altre cose, celebre per una sua frase; “l’uomo è un animale politico”, questo significa che per natura noi vorremmo copartecipare a delle decisioni, essere veramente informati e al tempo stesso “formati”. La formazione non è informazione o disinformazione, la formazione dovrebbe avvenire attraverso la scuola e le diverse “agenzie educative” presenti sul territorio; da un gruppo di lettura anche virtuale, a fenomeni diversi tra cui quelli che la stampa, spesso per pigrizia, definisce fenomeni nimby; reazioni emotive al progresso, “tragedia tutta italiana” direbbero molti.

Però, c’è come sempre un però, le cose non sono mai così pacifiche come una certa narrazione vorrebbe farci credere; a fallire laddove i progetti calano dall’alto nella disinformazione più totale è la politica che è assai più di un partito o di una tornata elettorale. No, la politica è voler fare qualcosa in base alle proprie risorse, pretendere una formazione, non essere “carne da macello” (scusatemi la forte coloritura espressiva) di un pensiero mass-mediatico omologante. Eppure se la formazione, (attraverso quella che molti pedagogisti chiamano “pedagogia della Resistenza” con riferimento ad un pensiero “non conforme” che non si lascia omologare dai vari gruppi di potere), avviene in maniera corretta, sarà veramente possibile nella mole dei vari interventi giornalistici e non solo, riconoscere le vere perle, ciò che è scritto con obbiettività e non per convenienza. Creare nuclei di resistenza a partire dalle scuole, le università, nuclei che non banalizzano il sapere, potrà forse aiutare a capire la posta in gioco di ogni “progetto politico” (come potrebbe esserlo quello della Terza Pista) distinguendo ciò che è effetto nimby da ciò che è invece desiderio di garantire per le generazioni a venire un futuro sano in un ambiente sano…e non dover attendere il verdetto di una commissione (il cui ruolo è certamente importante).

Ultime considerazioni e poi concludo; la procedura VIA qualora dovesse dare “esito positivo” come qualcuno ritiene debba accadere, non significherà la fine di questa battaglia, essa andrà sempre e comunque avanti ma avrà bisogno di un atteggiamento indomito, di un’accettazione consapevole di una sconfitta probabile ma della consapevolezza che si diventa “responsabili” anche con le battaglie difficili il cui “esito improbabile” non significa però che la storia ha decretato in modo giusto. Si può perdere ma occorre mettersi in gioco, credere fino all’ultimo, essere tenaci…ma ve lo avevo detto, provocatoriamente in questo intervento sarei stato un menagramo!

Per finire una considerazione teologica (una teologia antropologica che esula da ogni effettiva appartenenza confessionale mia o di chi legge; non c’è qui volontà catechetica), leggiamo della Croce di Gesù, di una sofferenza dietro la quale si cela un “progetto d’amore”. Le sofferenze ci induriscono, ci fanno desiderare di poterne uscire e il pensare che Dio ci ama offrendocela, la sofferenza, ci fa inorridire. Forse ciò di fronte a cui noi inorridiamo è il pensiero che tutto rimanga uguale e nulla cambi, lasciare l’ultima parola agli eventi, senza cercare di cambiarli cominciando con il donar loro un senso diverso, “mitopoietico”. Detto diversamente “narrativo” e qui vi invito a pensare alle tante battaglie vinte o perse, qualcosa ci hanno lasciato comunque, un “seme di civiltà” l’hanno deposto nel terreno…ma qui non vale il solo principio l’importante è provarci! Vale assai di più il principio per cui occorre provare a vincere figurandoci, ancora “mitopoieticamente”,   la vittoria…non lasciare mai l’ultima parola alle evidenze!

ciao a tutti

Nicola Balice

Non siamo niente e forse ancora peggio

Non siamo niente e forse ancora peggio

Non siamo niente e forse ancora peggio,

nondimeno i cuori ci pulsano colmi di rancori

e di odi e di guerre il mondo fecondiamo.

Ci ha resi parvenze d’uomo, il tempo.

Ma che ne sappiamo noi di cosa è l’uomo?

Anche il nostro sembiante di erranti fantasmi,

osceni incapaci a provare vergogna,

immersi  fra  letali macerie e veleni donati

dall’asservita e torturata natura, non vediamo.

Conta – ne siamo sicuri – guardare alto nel cielo,

non quello grigio piombo acido delle nostre scorie

che pesa e ottenebra teste e polmoni,

ma il blu e bianco immaginato di nuvole,

conta lasciarsi incantare dal quel movimento,

e lasciarsi illanguidire e impoltronire, e perdersi,

e disquisire di vita e di infinito e di etica:

è il bello! il bello! il bello che ci rapisce.

(Dal quotidiano nulla nascono artisti potenti,

tristi a narrare il bello e a farci dimenticare

che ci infossa il mercato e il denaro.)

Non ci avvediamo neppure di quanta

vendicativa stanchezza la Terra trabocchi:

ci hanno fatto credere di essere simili a Dio.

Se non ci fossero il sole e la luna e le stelle,

il mare e la terra e i monti,

le lucciole, i vermi, gli animali tutti

e le piante e i fiori, i colori e i suoni,

se non ci fosse una celeste corrispondenza fra me e loro,

fra me e l’universo intero, vitale e compassionevole,

un intimo serrato legame di sangue,

come tra pelle e corpo e cuore e sogni,

come potrei amarti? portarti sulle labbra e negli occhi?

essere la tua ombra?

Ma fin quanto potrà reggere il mio sguardo?

Già mi sento svaporare nell’umano nulla invadente.

Giuseppe Laino

La speranza…

Un titolo breve, un titolo che ci riassume, non dico noi di Via Gaggio, intendo noi come esseri umani. Iniziare con un titolo così è riassumere la condizione che ci caratterizza in quanto heideggerianamente “gettati” in un mondo iniquo, in un mondo privato della sua linfa vitale che è guardare avanti per “costruire” qualcosa. Costruire un futuro per i giovani ma anche per i vecchi, un futuro fatto di speranza che il domani possa essere migliore, e che nella realtà venga inserito quell’elemento di “semplicità” che sembra mancare ai più. Lo psicanalista C.G. Jung affermava che parlare di semplicità in un mondo sempre più complesso è sintomo di “psicosi” (in senso lato) ovvero di distacco o fuga dal reale. Però questa la “lettera” della psicanalisi junghiana classica, in realtà la semplicità è l’atteggiamento semplice di chi gioisce nello scoprire ciò che spesso diamo per scontato, il volo di una cicogna o la vista del Rosa.

Sembra che scrivendo in questi termini voglia di fatto dar voce ad un disagio mio personale, alla consapevolezza di una battaglia culturale (la nostra ma anche molte altre) che sembra condivisa dai più ma che non riscuote una partecipazione effettiva. Il piano aeroporti di C.Passera, la riconferma di Malpensa come hub multivettore e possibile snodo strategico del Mediterraneo, ebbene tutto questo sembra nel cinismo di un ministro (e non solo) mandare alle ortiche un lavoro di informazione, convincimento, un lavoro che ha sempre trovato nella speranza la propria linfa vitale. Pensare in grande quando non ce n’è bisogno per far fare soldi a qualcuno, per tirarci fuori dal torpore, per farci pensare ad un futuro che ci preoccupa, ma le soluzioni sono sempre le stesse, cemento, terza pista e infrastrutture.

Eppure, sì c’è un eppure, l’ex BelPaese che ancora un Bel Paese è, può puntare su due punti di forza; l’ecoturismo da un lato, siamo un paese ad altissima biodiversità e sulla riutilizzazione di aree industriali dismesse, ricostruire città e quartieri, riprogettare un futuro per le nostre città affinchè crescano non solo e tanto in estensione ma come luoghi del “buon vivere”. La dolce vita fatta anche di bellezza e si dice che di bellezza si può anche morire, quella bellezza che ci scuote, che ci invita a non dare nulla per scontato, che stimola la nostra curiosità e i nostri sensi.

Torniamo alla nostra brughiera, la brughiera del Gaggio che si vorrebbe far morire, che si vorrebbe cancellare a favore di un intervento inutile, impattante, una vera e propria speculazione edilizia fatta per pochi e a vantaggio di pochi, con la “scusa” dei tanti posti di lavoro. Ma quali? Una pseudo-narrazione per incantare le masse, prospettive di sviluppo urbanistico per la paura di dire la verità e cosa anima realmente i meccanismi del potere. M.Foucault filosofo francese da me più volte citato sul blog, parlava del potere capitalistico ma non solo, e lo faceva in modo così spregiudicato da mettere a nudo i reali meccanismi del consenso. La grandiosità è uno, ma non il solo, il pensare a grandi progetti, a mega-opere, frutto di una mentalità positivistica di fine Ottocento, una mentalità che nella presunzione di controllare tutto vuole controllare anche il progresso segnandoci in ogni aspetto del nostro vivere e pensare. E difatti Foucault (che qui cito solo) ha dedicato molti suoi scritti alla sessualità (la famosa trilogia) e al potere psichiatrico, due ambiti cruciali della nostra esistenza se ben ci pensiamo, la sessualità per ovvie ragioni, essa è alla base del nostro vivere biologico e sociale (al di là di specifiche prese di posizione religiose), l’altro ambito più attinente ad un presunto concetto di normalità, dimenticando che anche questa è relativa ad un preciso contesto socio-culturale. La follia come luogo del non – senso (così ancora Foucault), luogo della parola errante perchè dominata da precisi meccanismi ideologici. La follia come espressione di un ribellismo che s’infrange di fronte allo strapotere di “processi normalizzanti” che ci impongono ben poche opportunità individuative (di diventare quello che potremmo se un certo condizionamento cessasse di esistere).

E SEA? La terza pista? Un territorio spogliato e ridutto a quel “The Waste Land” (opera di T.S.Eliot del 1922) che è sintomo di disagio e degrado, senza una vera necessità e nemmeno aver valutato attentamente alternative percorribili. Il rischio è di fare la terza pista e di accorgersi dello sbaglio tardi, quando già preventivamente e di fronte ad una reale necessità un’alternativa poteva esistere; potenziare quello che c’è a Brescia ad esempio e creare sinergia tra aeroporti esistenti. Una presa di responsabilità reale perchè nel dubbio circa le ripercussioni su un territorio anche un’azienda a fini di lucro come SEA avrebbe dovuto chiedersi sull’eventualità di un simile intervento. E la speranza? questo termine abusato, spesso associato a scenari religiosi non sempre chiari, la croce del Cristo (non lo dico in senso blasfemo sia ben chiaro) come esaltazione della sofferenza per la sofferenza e non prospettiva di un vero riscatto umano e sociale a partire da qui, da noi, da quello che desideriamo ben sapendo che se non otterremo noi qualcosa per noi, lo otterranno i nostri figli che, magari nel lontano (mica tanto) 2020 avranno ancora Via Gaggio. Ecco il senso della speranza, non lo faccio per me, non lo faccio per un mio tornaconto e nemmeno per altri strani motivi ma perchè credo che qualcosa già adesso può veramente essere possibile.

Moderatismo e radicalismo, due termini erranti nel senso di Foucaultu, due nozioni legate al potere, che però cambiano significato a seconda degli orizzonti diversificati del controllo sociale; in un mio precedente intervento ho parlato a favore del moderatismo, ora lo faccio a favore del radicalismo; pensare all’imperfezione del nostro mondo anche in una prospettiva cristiana che rimanda tutto all’aldilà, è ragionare nei termini di mammona o del capitale…o detto al di fuori di una concezione troppo di sinistra dell’economia, dei grandi potentati che sempre e comunque devono lucrare. Qui la speranza, quel meccanismo che ci vuole socialmente attivi, partecipanti e artefici del nostro futuro. In bocca al lupo a tutti noi e voi!

Via Gaggio e il pensiero ecosostenibile.

Climi torridi, forse l’estate troverà un termine abbastanza presto e una nuova stagione, speriamo “verde”, riprenderà il suo inizio. Con questo mio breve intervento, speriamo non troppo noioso, mi prefiggo un obiettivo ambizioso e proprio per questo poco adeguato nello spazio di queste poche righe. Sto lavorando ad un progetto un pò più ampio che esula però dai normali canali del nostro blog anche se alla battaglia di civiltà di Via Gaggio strettamente collegato. Inizio dicendo cosa è Via Gaggio; un grande progetto fatto da gente semplice, non nel senso di semplicistica ma nel senso di capace di andare al cuore dei problemi (si spera). L’umiltà come condizione dello spirito, merce assai rara in tempi di grandiosità diffuse, di grandi “tecnocrati” che promettono cose che non possono mantenere. La Grande Malpensa (come se fosse piccola già così com’è) da ingombro ad opportunità, posti di lavoro barattati in cambio di tutela dell’ambiente, dei nostri territori e della vivibilità delle nostre comunità. Però, c’è un però; siamo sicuri che di opportunità si tratta e non piuttosto della lotta tenace di alcuni gruppi di potere che fiutando un affare  permangono sordi di fronte alle esigenze di tutto un territorio che vuole garanzie per il futuro e un lavoro che sia realmente lavoro non a discapito di molti e a vantaggio di pochi? (senza contare il fatto che attualmente i mercati sembrano non volere la terza pista). Sulla reale sostenibilità in termini ambientali di un progetto di questo tipo (Malpensa più terza pista e polo logistico) si è già scritto molto su questo blog (e naturalmente non io solo). Così pure sul fatto che l’opposizione lavoro – ambiente viene riproposta da chi per cattiva coscienza non ci dice come il mercato possa garantire un lavoro rispettoso di “noi stessi” e della nostra identità territoriale e comunitaria. Se si volessero veramente creare opportunità lavorative, lo si potrebbe fare con Malpensa così com’è e sfruttando in termini di “ecoturismo” le mille potenzialità che il nostro territorio ha da offrire. Ma non parlerò o meglio non mi soffermerò su questo.

Ritorniamo a Via Gaggio, un comitato di non “ecofanatici”, molto variegato al suo interno che ancora crede se non in grandi cambiamenti, nella possibilità di un mondo diverso, a partire da una battaglia specifica, la salvezza di Via Gaggio e di conseguenza di tutto l’ecosistema del Parco del Ticino. A Via Gaggio in questi due anni e mezzo di attività, sono approdati non solo come membri ma amici, persone di tutte le età e credi religiosi e politici, riconfermando un fatto essenziale che fa parte del nostro DNA; la biodiversità anche in ambito culturale. Consapevoli del fatto che la nostra epoca cosiddetta del “Postmoderno” risulta caratterizzata da un senso diffuso di disagio esistenziale, da una sorta di rassegnazione ma che lascia solo assopiti certi impulsi primari di lotta nei confronti dell’esistente per cambiarlo, si tratta di uscire da un ottundimento causato da una società consumistica che non ci fa fare esperienza, che inibisce la nostra capacità di costruire narrazioni autentiche e personali. In una società dove le grandi narrazioni hanno ceduto il passo al dominio del “relativismo culturale” nella sua versinone peggiore, cioè nichilista (di questo parlava il filosofo F.J. Lyotard nel suo testo “La Condizione Postmoderna” del 1979), diventa sempre più difficile e quanto mai urgente poter agire dal basso  guardando però in alto e realizzare così quella che già Gramsci definiva cultura rivoluzionaria che si impossessa dei meccanismi socio-culturali borghesi per trasfromarli in modo radicale.

Per questo motivo noi di Via Gaggio abbiamo sempre puntato non su slogan o idee fatte, non appellandoci a sistemi culturali di riferimento troppo rigidi che lasciano l’Altro al di fuori secondo un “meccanismo di crescente razionalizzazione” (la definizione è del filosofo boemo Jan Patocka) che nega la libertà e fa emergere il suo conflitto interno. Questa società iperrazionale è definita da Patocka “superciviltà” e ben si applica sia al capitalismo che al comunismo reale. Citare Patocka sembrerebbe a questo punto voler dare una coloritura antimarxista e socialista-democratica all’intero discorso. Infatti la superciviltà a cui lui faceva riferimento era quella del totalitarismo sovietico caratterizzata da un dominio indiscusso della categoria del razionale a discapito delle componenti altre del soggetto, cosiddette irrazionali. Da qui la speranza di cambiare il sistema socialista rendendolo democratico; renderlo più flessibile alle componenti non razionali dell’individuo nella consapevolezza che il conoscere è un fenomeno complesso, razionale e irrazionale insieme, progetto pensato attraverso una lettura non proprio dogmatica del  pensiero marxista (il riferimento è alla Primavera di Praga, al nuovo corso del 1968 che ebbe l’ambizioso obiettivo di creare un “socialismo dal volto umano”. L’esperienza purtroppo non ebbe successo e fu seguita dalla cosiddetta “normalizzazione” o ritorno al regime precedente e al conseguente fallimento delle riforme.)Un eccesso di razionalizzazione che nei paesi dell’ex-blocco sovietico ha ucciso le libertà individuali e creato un sistema ingiusto ed oppressore nei confronti dell’individuo e del suo inalienabile diritto ad espriemere (faccio presente che quest’ultima espressione è tutt’altro che pacifica). L’eccesso di razionalismo in società iper-strutturate è quello che Michel Foucault definiva “biopolitica” con riferimento al sistema statale capitalista che applicherebbe una politica per la vita al suo interno (eros come incremento della capacità vitale dei cittadini di uno stato; thanatos o istinto di morte verso l’esterno, verso comunità nazionali e statali diverse) tendendo invece ad azioni belligeranti o ricattatorie (in termini anche di mercato globale si direbbe oggi) verso gli stati vicini o lontani.

La fine del soggetto paventata da Foucault si è decretata nei due blocchi anche se con modalità diverse; nel blocco del “comunismo reale” attraverso la negazione dell’alterità (cosa per altro notata da moltissimi comunisti nostrani ed estranea al marxismo stesso), nel mondo capitalista erigendo il mito del “cittadino consumatore” secondo l’espressione di Z.Bauman, sociologo polacco che al tema ha dedicato parecchi suoi scritti. Fuocault è anche il filosofo che più ha indagato sui meccanismi del potere e sulla possibilità da parte dell’individuo di praticare quelli che lui definiva gli “esercizi della libertà”. Oggi la nostra libertà è forse in una lettura diversa del marxismo, non rigidamente razionale? Una lettura che sulla base di alcune intuizioni lascia trasparire un atteggiamento diverso, più “scientifico” perchè meno dogmatico? Sembrano le classiche scoperte dell’acqua calda, già da noi sin dagli anni ’70 e forse anche prima si parlava dell’esigenza di reinterpretare Marx, conciliandolo con saperi diversi, per fare della filosofia un sapere “umano” per definizione e aperto a 360° sull’intera realtà.

Da qui oikos, che in greco sognifica “casa” e il termine ecologia come sapere che riguarda la casa; alias il nostro pianeta. Proseguendo, le idee hanno maturato una nuova dicitura; quella di “pratiche ecosostenibli” da intendersi qui come pratiche sociali, ovvero pratiche rigorose che poggiano su un sapere filosofico per quel che attiene alla riflessione e su conoscenze specifiche per quanto riguarda saperi più strutturati ai fini di un discorso più oggettivo (anche se il problema dell’oggettività è un problema primariamente filosofico e assai più complesso). Il sapere ecosostenibile si è negli anni sempre più configurato come sapere “democratico” in quanto non presenta idee preconfezionate, ascolta prima di parlare per meglio capire il mondo. La rivoluzione culturale in atto riguarda più le modalità di un consumo più consapevole, la necessità di agire sull’esistente per cambiarlo attraverso le sue “concrezioni storiche” piuttosto che un sistema filosofico di stampo hegeliano che ha già detto tutto (e che, aggiungerei, sembrerebbe non ascoltare la voce del “divenire storico” per poter veramente agire in modo efficace).

Così Via Gaggio all’insegna dell’umiltà, sapere di non sapere in via ultimativa, eppure voglia lottare per dei valori, inserirsi con la nostra battaglia specifica (anche se ad amplissimo raggio) in una costellazione di altre realtà che operano in altri settori (vigerebbe qui una sorta di “divisione del lavoro” per ottimizzare i risultati) ma sempre tenendo fermo il principio di uno sviluppo consapevole dove a “progredire” sono le nostre comunità e non principi astratti che invece trovano in una prassi sociale una loro ragion d’essere. Mi rendo conto della complessità di queste riflessioni e del fatto che in poche righe sia stato difficile trattarle adeguatamente (se non impossibile); una cosa però è certa, Via Gaggio è primariamente un progetto culturale e democratico; sarebbe riduttivo definirlo “ambientalista” (non che ce l’abbia con l’ambientalismo, anzi!) o di “sinistra radicale ma democratica”. Queste sono solo definizioni che hanno una storia ma riducono la prospettiva di un movimento che invece sembrerebbe puntare a una sorta di “cittaslow” (termine anglosassone che sull’onda di slow food ha voluto imporre un tempo diverso rispetto a quello del capitale e della tecnica; forse negazione del primo ma certamente non della seconda con la quale dobbiamo invece imparare a convivere).

Per finire, rioccupare i nostri spazi espressivi, rendere le nostre credenze “flessibili” abbastanza da non negare l’altro, proporre non un moderatismo di maniera ma un sapere che in quanto umano è sempre in divenire ma mai ultimativo. Essere ecosostenibili è anche questo, lasciar abitare la nostra casa (Oikos) da forze irrazionali, quelle stesse forze che sempre e comunque introducono nella realtà una variabile di imprevedibilità, con lo scopo di migliorare sempre più l’esistente senza pretese di esclusività. Via Gaggio è questo, o anche questo, un microcontributo essenziale, fatto di umiltà ma non di facili compromessi (o nessun compromesso per chi voglia devastare Via Gaggio o anche solo una sua parte). Per chi è ancora in vacanza, arrivederci in Via Gaggio!

Balice Nicola

Anche nei momenti in cui ti stringo più forte a me

Anche nei momenti in cui ti stringo più forte a me,
quando penso alla fortuna prodiga di doni e al caso
che mi ha fatto nascere fra gente che possiede tutto;
anche quando dovrei star bene ed essere sereno,
e lasciarmi solo stordire dal tuo odore,
rapire dalla tua pelle liscia e bianca,
dalla tua bocca, dai tuoi occhi,
quando le tue mani piccole e mai ferme,
tracciano sulla mia pelle, nel mio cuore,
i segni profondi di un amore eterno;
anche in quei momenti mi sento d’impaccio e confuso.
Mi sento tremante e fragile.
Ma non è la paura della morte che mi intristisce
ché lei è come un’abitudine.
Come una compagna che in fondo mi tiene in vita.
E nemmeno gli anni passati che hanno forse asciugato ogni lacrima
ma non sono riusciti a spegnere l’amore che conservo stretto nel cuore.
È il muso spaurito del cerbiatto cacciato
e il viso rattrappito e coperto di mosche del bimbo affamato,
la sua pancia gonfia e le sue abbandonate e gracili gambine,
è il belato dell’agnello sacrificato ogni giorno alla pasqua del Cristo,
e sono gli occhi della madre impotente a salvare i suoi figli.
È il dolore per la fame, la guerre, la crudeltà
che mi ha da sempre inferto ferite profonde
come fossi io a patire fame, guerra e crudeltà.
È l’offesa fatta ai più deboli,
agli schiavi, ai servi, ai diversi, agli animali,
a tutti coloro che, pur vivi, sono pensati senz’anima
da coloro che, arroganti, non meriterebbero l’averla.
È il dolore che aleggia nell’aria
quando stacchiamo la testa di un fiore,
che mi immalinconisce e mi fa tremare e spaurire.
È il pensiero che forse siamo già morti
quando non sappiamo,
quando non vogliamo sapere,
quando non ci importa di nulla
e chiudiamo gli occhi,
tappiamo le orecchie,
serriamo naso e bocca in uno spasmo rabbioso.
Che mondo sarà
quello che lasceremo ai nostri figli?

di Giuseppe Laino

 

Dalla parte della gente…”Luoghi e modi del comune”

Un clima infuocato, la politica internazionale, i piani di salvataggio dell’euro, il patto sulla disciplina di bilancio, il “growth pact” voluto dal ministro francese Holland e ancora l’abilità del nostro presidente del consiglio M.Monti di inserire nelle concertazioni del consiglio europeo del 7 luglio anche uno scudo antispread. La politica internazionale si muove sotto l’urgenza di passi necessari, non per questo strutturali, passi per salvare un progetto politico europeo per ora percepito non come difesa delle persone e dell’ambiente e portavoce di un “mercato etico, o sociale” come alcuni lo definirebbero in modo però poco chiaro.

Evidentemente non voglio parlare sul nostro blog di politica europea, ci vorrebbero altri spazi e altri intendimenti, l’obiettivo è qui di mettere insieme alcune riflessioni estive che in un secondo momento potrei fare oggetto di una trattazione diversa, senza pretesa di esaustività, sicuramente più ampia. Il punto è qui sempre lo stesso, si parla di tensione dei mercati, di esigenze dettate dalla comunità internazionale, di globalizzazione, di diritti e di ambiente (il riferimento è qui alla conferenza sullo sviluppo ecosostenibile di Rio + 20 di cui di recente si è pubblicato un dossier di 49 pagine e 283 capitoli incentrato appunto sulla difesa della biodiversità), ma mai del nodo strutturale ovvero di capitalismo (lo si fa nell’ambito del pensiero ecosostenibile e del “mercato etico” ma non investendo realmente i veri poteri del mercato finanziario, sovranazionale e massimamente disincarnato, compito che dovrebbe attenere agli economisti più avvertiti, quelli insomma che pur non rinunciando ad agire in un clima di Realpolitik – politica reale – sull’esistente, vogliono comprenderlo senza paraocchi nè concordismi di facciata, del tipo; basta un pò correggere il tiro).

Ecco che mi trovo a parlare in modo certo molto diffuso del saggio di Giuseppe Laino pubblicato da EC Edizioni Clandestine nel 2009 e intitolato “Luoghi e modi del comune”. Si tratta di un saggio che con una grande ricchezza di riferimenti bibliografici, ci racconta debolezze del pensiero democratico-liberale e propone una sorta di fede indissolubile non nella solita mediazione tra esigenze del mercato da un lato e diritti dall’altro, bensì il superamento delle contraddizioni in vista di uno scenario nuovo, liberato; quello che l’autore definisce “liberazione dal e del lavoro”; un processo che sovverte le nostre abituali formazioni intellettuali in vista di un modo diverso e radicale di stare insieme. La radicalità non è qui da intendersi nell'”essere più o meno rosso o più o meno adattato al sistema di produzione capitalistica” ma nella fideistica convinzione che un mondo diverso è ancora possibile.

Altro elemento di riflessione; sicuramente chi scrive (non intendo solo me stesso ma l’autore del saggio in primis) tende ad inserirsi in una tradizione, quella di un pensiero critico di sinistra, radicale nel senso di “teso a ben altri fini ed orizzonti rispetto a quelli di una politica ordinaria.”  Anche se delle differenze tra il mio pensiero e quello di Giuseppe Laino esistono, non è questo il punto, ciò che conta è la sostanza o quella sana inquietudine che ci prende quando le “cose intorno a noi, nella nostra cerchia ristretta” sembrano andare bene  e tuttavia  si dà voce, attraverso uno sguardo più attento,  a quell’umanità reietta e vilipesa che popola le nostre città, quegli stranieri che mettono in crisi i nostri “sani valori cristiani” o che ci commuovono dentro perchè ci mettono in crisi; come dire, il mondo non è casa nostra, il nostro telecomando o le nostre piccole e rassicuranti certezze.

Di recente ho avuto modo di leggere un’arguta osservazione di una ragazzina su un giornale (di cui non riporto il nome perchè non importante ai fini di ciò che qui voglio dire) la quale dice: “se tra mille anni gli uomini del futuro dovessero guardarsi indietro penseranno; ma quali erano le loro preoccupazioni? Esodi di massa, disastri ambientali mentre in alcuni paesi progrediti come gli USA (la ragazzina è infatti americana) si va a votare perchè la paura è che i gay si possano sposare, o come da noi, semplicemente veder riconosciuti dei diritti” (ho rielaborato con le mie parole i pensieri della ragazzina). Attraverso l’economia e la filosofia marxista, si cerca in questo testo di fare il punto della situazione, si passa da una valutazione “etica” della democrazia, dei suoi limiti e del fatto che appunto spesso si dovrebbe parlare di dittatura delle maggioranze, per arrivare ad una domanda cruciale; qual’è il giusto tempo della rivoluzione? anche culturale? (di un modo di concepire la democrazia come democrazia realizzata e non democrazia del consenso) non quello del mercato ovviamente, è un tempo nostro, il nostro tempo che ci separa dall’alienazione, dalla perdita di noi stessi nel di fuori.

Dal saggio: “Ma è soprattutto il prolungamento della giornata lavorativa, questa invenzione dell’industria moderna, che accresce la massa del pluslavoro acquisito [..]” quel plusvalore per intenderci che il mercato incorpora nel capitale ed utilizza da un lato per accrescere sè stesso, dall’altro per ideare quella complessa macchina sociale che lo stato, concepito come il tutore dell’ordine dei mercati, mette in campo per attenuare tensioni sociali e in qualche modo rendere più etico il capitalismo (ammesso che ciò sia possibile). Lo stato è però in questa fase “globale” defraudato o superato dalla tirannia dei mercati, e con questa esautorazione del suo ruolo tradizionale, il capitalismo è diventato ancora più difficile da dominare o ammorbidire attraverso adeguate politiche sociali, non a caso ho iniziato parlando di Europa e globalizzazione. I problemi sono ora globali, sia in termini di capitali, sempre più volatili, che in termini di mescolamento di razze e culture sotto l’egida di un “melting pot” sempre più problematico che infine in termini  di tutela ambientale; l’effetto serra con i conseguenti cambiamenti cliamtici o la perdita irreversibile di biodiversità, per non parlare dell’allarmante fenomeno della desertificazione. Tutto questo viene assai bene spiegato all’interno del saggio.

Partendo da queste osservazioni due domande rimangono aperte; non si tratta ovviamente di aderire ad un marxismo piuttosto che ad un altro (io stesso non mi ritengo veramente marxista anche se considero attuali molte delle intuizioni che troviamo in molti marxismi) ma di porci interrogativi ogni volta che vediamo sofferenze, che ci accorgiamo come la nostra ricchezza sia costruita letteralmente sulla povertà di molti e di come l’accettazione dello status quo porti con sè l’imprimatur di una “colpa metafisica” che ciascuno di noi porta con sè nei confronti degli antichi e dei nuovi poveri.

Naturalmente rapporti sociali di un certo tipo, una visione esclusivamente strumentale dell’altro non può prescindere da una “cosalizzazione” della natura che risponde sempre alla domanda: “cosa mi può fruttare la deforestazione o la rapina delle risorse naturali?”. Uomini o donne ridotti a “cose” nel senso di “enti utilizzabili” in vista di “fini pratici” ed esclusivamente “economicistici”; atteggiamento che si accompagna ad un radicale svuotamento delle normali “strutture” di significato ( strutture nel senso di culturalmente acquisite), quell’atteggiamento fenomenologico (sulla fenomenologia e sulla necessità di far parlare il mondo ho già avuto modo di soffermarmi più volte) che mi porta verso una relazione affettiva con l’altro e con il mondo in funzione di fini più alti del semplice sfruttamento di persone e ancora “cose”.

Per finire, si parla molto della simbologia cristiana della croce, del progetto divino della sofferenza, e anche tra chi crede (forse sono tra questi anche se ritengo la fede un atteggiamento piutttosto che un possesso) la domanda sorge spontanea; la croce non è forse simbolo di un trascendere sempre lo status quo, la speranza e la fede di un mondo diverso anche se tutto sembra procedere in una direzione contraria? Il saggio di Laino e la nostra battaglia sembrano nascere da un moto del cuore e da una ribellione interiore, dalla sofferenza che ci provoca il mondo di “qua” e che però vorremmo almeno in parte rinnovare o vedere rinnovato; e così la nostra splendida Via Gaggio! Un mondo di colori, di speranze senza ingenuità, che il vero miracolo possa ancora accadere e forse almeno nel nostro piccolo sta già accadendo…come sembrerebbe suggerire questo saggio con l’immagine della “piramide rovesciata”. Siamo noi a decidere, del nostro futuro e dei nostri territori, e non i vari potentati economici o interessi specifici  e di parte associati più ad una logica speculativa che ad una politica di largo respiro.

Ultima osservazione; i veri attori del cambiamento siamo noi, questa la vera rivoluzione e la vera fede di Giuseppe Laino (e aggiungerei anche la mia); il vero senso di una politica pienamente partecipata, una politica che parta dal basso e che progetti utopisticamente un futuro diverso da quello attuale. Una democrazia che non ricerchi il consenso bensì la “verità”, una comunità che viva il suo territorio e il senso di un’appartenenza radicale, non ad etnie ma a “luoghi” autenticamente vissuti. Da qui la forza del cambiamento che nella metafora della parabola rovesciata condizioni i “vertici della politica cosiddetta alta” dal basso dai veri attori che siamo noi. Per questo rinnovo l’invito al Campogaggio tra pochi giorni, il territorio lo pensiamo noi, lo progettiamo noi, così anche le possibilità di uno sviluppo vero. In momenti di grave crisi le derive populiste sono sempre lì, in agguato, con le loro facili ricette “sviluppiste” che possono avere un effetto dirompente in chi è scoraggiato e ha bisogno di stabilità e sicurezza per il futuro.

Nicola Balice

membro del comitato pro Via Gaggio

Ci si approssima all’estate e si festeggia

L’estate è già iniziata e le temperature ci mettono a dura prova. L’afa ci fiacca e, per chi deve ancora lavorare o studiare, è un problema. Prima dei mesi estivi il Comitato però festeggia: il Campogaggio, il nostro appuntamento annuale, non può mancare.
Per un attimo o per qualche giorno il ritmo festoso di noi e voi gaggionauti si tramuterà in una festa, in un grido di gioia, nella convivialità dello stare insieme in un modo diverso, quel modo istintivo e naturale che mi o ci porta a scegliere un amore senza troppo raziocinio, come noi abbiamo scelto Via Gaggio e ci siamo scelti come comitato ristretto che, però ora vuole allargarsi.

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