Oggi non si progetta qualità della vita perché ogni previsione è mortificata da un presunto profitto economico

Riceviamo e, con piacere, pubblichiamo (così come hanno fatto altri spazi internet):

Ieri il Master Plan di Malpensa è stato dichiarato irricevibile dalla Commissione Nazionale V.i.a. che lo esaminava perché, tra l’altro, non si riscontra “raccordo tra le opere prospettate e il quadro nazionale”.
Che sia l’inizio di una programmazione nel settore? Vedremo. Non facciamoci però fuorviare dagli aspetti nazionali del problema, pure importanti; occupiamoci a fondo dei pesantissimi risvolti locali che il Master Plan comporterebbe in Provincia di Varese.

Queste sono gli aspetti critici del progetto, che ho formalizzato nelle scorse settimane in Commissione provinciale Territorio.

-Non è proprio accettabile quel che dichiara il Master Plan circa gli ettari di bosco che verrebbero sacrificati all’ampliamento: non sono affatto di scarso pregio e poco significativi. Chi viene in via Gaggio in una giornata qualsiasi della settimana può verificare come questo residuo di brughiera, curato in modo esemplare da volontari e istituzioni, sia la meta quotidiana di centinaia di cittadini che frequentano la zona boscata come ultima occasione naturalistica in un contesto densamente urbanizzato:zona di pregio, dunque, da difendere.
–Il Master Plan prevede, al posto di questi ettari di natura, la costruzione di una quantità enorme di capannoni per la logistica, tutti all’interno del sedime aeroportuale: costruiti dunque su territori sottratti al bene comune e senza ritorno per i bilanci degli stessi enti locali. Nelle zone limitrofe all’aeroporto c’è già un ingente patrimonio di edilizia industriale vuota, abbandonata da aziende chiuse, nonchè aree delocalizzate che non possono avere altra destinazione se non quella terziaria o produttiva: è qui che si deve costruire la rete logistica di Malpensa! I capannoni del “logistic park” (!!) svuoterebbero e impoverirebbero invece il territorio circostante, sacrificando gli ultimi ettari di bosco. Anche la previsione di una albergo nel sedime aeroportuale mi sembra inopportuna: con tutti gli alberghi vuoti esistenti in zona, costruiti nel sogno della Grande Malpensa…

-Occorre dunque affrontare il problema complessivo di Malpensa, facendo alcune considerazioni di carattere generale. La potenzialità dell’attuale struttura è di circa 30 milioni di passeggeri e di un milione di tonnellate merci all’anno. Questo potenzialmente, perché oggi a Malpensa arriva poco più della metà dei passeggeri possibili e meno della metà delle merci. Questo è l’unico, vero problema di Malpensa. Se Malpensa “lavorasse” per quel che è stata costruita, ci sarebbe già un immediato incremento di occupazione, che è il motivo martellante di chi chiede la realizzazione del Master Plan. Non solo nuove assunzioni, ma anche la regolarizzazione dell’attuale precariato, eredità delle fantasmagoriche promesse di lavoro del passato. Se Malpensa richiamasse il suo potenziale di passeggeri e merci, i nuovi addetti con ogni probabilità cercherebbero residenza in zona: una domanda di alloggi la cui risposta è già contenuta nelle migliaia di vani vuoti, oggi esistenti nei Comuni del Cuv, a Gallarate, a Busto. Certo, per la zona si acuirebbe qualche problema di servizi (scuola, sanità, mobilità ecc.), che una corretta pianificazione territoriale non può ignorare.

-Con un aeroporto che lavora a pieno regime si utilizzerebbe razionalmente il patrimonio edilizio e territoriale produttivo della zona ampia intorno a Malpensa, dando una risposta, magari, al problema delle aree dismesse, spesso strategiche nel tessuto comunale. Le merci, poi, sarebbe opportuno raggiungessero le loro destinazioni via ferro; vecchia proposta, da noi formulata da tempo, di collegare Malpensa con Novara, e dunque con i corridoi europei delle merci.

-Se Malpensa funzionasse a pieno, però, sarebbe indispensabile monitorare in modo più capillare, a spettro più ampio e con maggiore pubblicizzazione la qualità dell’aria dell’intera zona. Oggi, tranne lodevoli eccezioni, non c’è grande attenzione da parte delle istituzioni sui dati epidemiologici, assai preoccupanti, diffusi nella nostra zona.

-Il Master Plan snocciola poi alcuni dati sui presunti volumi di traffico nei decenni futuri. E’ nell’ordine delle cose: in futuro si assisterà ad un incremento del traffico aereo, ma è propaganda pensare che in un’area così densamente popolata come la Pianura padana tutto il traffico si concentri efficacemente in una sola struttura: più ragionevole pensare a un sistema aeroportuale integrato dell’Alta Italia, così come richiesto da decenni e mai pianificato per calcoli elettoralistici.
Per alcune forze politiche del varesotto c’è poi lo smacco dell’ “Hub della brughiera”,che non è mai stato un hub, che probabilmente non lo sarà mai, e per salvare il quale un Presidente della Provincia si era fatto eleggere a Roma.

Bisogna proiettare Malpensa fuori dal sedime, con tutte le opportunità e le criticità che l’aeroporto naturalmente determina. Il Master Plan, con l’eterno miraggio del lavoro, si occupa invece esclusivamente di quel che vuol fare nell’enorme territorio che fagocita, quasi che fuori ci fosse il deserto.

Insomma: le contestazioni mosse a livello nazionale sono condivisibili, e siamo contrarissimi alle previsioni locali di questo Master Plan. Malpensa funzioni al massimo della sua attuale potenzialità e il territorio sarà più che saturo di funzioni, occasioni, possibilità: in fin dei conti per nostra fortuna in Provincia di Varese non c’è solo Malpensa. Le aggiunte del Master Plan non sarebbero sviluppo (rendere lineari cose aggrovigliate) ma nuove criticità. Si veda al proposito i risultati della VAS volontariamente elaborata dal Parco del Ticino qualche anno fa: ogni ulteriore intervento renderebbe tutto più complicato.

Se proprio vogliamo progettare qualcosa di nuovo, occupiamoci della qualità della vita dei (tanti) residenti, valore quest’ultimo rimosso in ogni programmazione e previsione politico-urbanistica.
Oggi non si progetta qualità della vita perché ogni previsione è mortificata da un presunto profitto economico: ci stiamo accorgendo che, in assenza di qualità, ogni progetto si trasforma in un clamoroso fallimento, anche economico.

Giampaolo Livetti
Consigliere Provinciale Federazione della Sinistra

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  1. Ho letto questo articolo, che nei suoi aspetti essenziali condivido; Malpensa è un aeroporto sovra-dimensionato, che lavora al “minimo” della sua reale capacità operativa. Condivido l’idea, per cui esiste al di fuori del sedime aeroportuale un patrimonio immobiliare in parte delocalizzato e, in parte inutilizzato, che si può, in un’ottica futura, utilizzare o per interventi del tipo di quelli inclusi nel Masterplan (che vanno sotto la dicitura di “polo logistico”), oppure in previsione di un aumento di traffico aereo che potrebbe far gravitare sulla zona un numero piuttosto alto di gente impiegata direttamente o indirettamente in Malpensa…a fronte di una situazione lavorativa, così almeno pare dica l’articolo, più chiara e rispettosa dei reali bisogni lavorativi espressi dal territorio. Ripeto, tutto condivisibile, a patto di fare dei distinguo; nessuno ovviamente vuole fare della retorica anti-Malpensa (e forse questo è anche l’intento dell’autore di questo articolo), ma per lungo tempo si è parlato di un aeroporto con aspirazioni da HUB, e di un parco offuscato dalle esigenze di chi voleva lo sviluppo di questo territorio…almeno in questi termini. Già nel 2007, quando Malpensa raggiunse il picco di passeggeri, circa 21 milioni, da più parti si gridava “ci vuole la terza pista!” e, mi ricordo in regione, all’unanimità si votò a favore dell’intervento dicendo: “il parco del Ticino è grande, cosa sono 160 ettari di fronte a più di 91000? e in un’ottica di sviluppo del territorio?”. Poi l’abbandono di ALITALIA, e il sogno non archiviato di una Malpensa ancora più grande….a tal punto che nel giugno del 2009 il Ministero della Difesa previde la cessione a SEA della brughiera del Gaggio praticamente a costo zero, presentando quest’ultima un progetto di interventi vari, non di 160 ettari ma di 427 (all’incirca). Premetto, non critico l’articolo, condivisibile, ma un atteggiamento istituzionale di comodo, per cui se si critica il Masterplan lo si fa nell’ottica di dire che due piste bastano ed avanzano a Malpensa, una terza è inutile, quindi lasciamo vivere la zona del Gaggio fino alla dogana! E’ vero, però occorrerebbe fare, a mio parere una riflessione ulteriore, già l’aeroporto di Malpensa così come è oggi, è stato un errore e parlare di Hub all’interno del Parco una follia…eppure molti ci dicono che il “progresso e il lavoro” vengono prima di un Parco….i nostri detrattori! Questo atteggiamento che sembrerebbe spiazzarci (noi, amanti di Via Gaggio, gli ambientalisti e gli stessi fautori del progresso ecosostenibile della Federazione di Sinistra o meno) è debole, nei contenuti, anche se forte nella forma. Il Parco del Ticino è nato nel 1.974 come modello di sviluppo eco-sostenibile, in una zona con forti appetiti immobiliari e con lo spettro di una Malpensa che secondo un progetto iniziale sarebbe dovuta arrivare fino alla Valle distruggendo la continuità ecologica. Negli anni ’60 e ’70 i governi in Occidente (salvo alcuni paesi nord-europei) parlavano di ambiente in fondo alla loro agenda politica…e ignoravano i più basilari principi dell’ecologia, risultato? dissesto idrogeologico, impoverimento paesaggistico e sviluppo solo in termini numerici e non come miglioramento della “qualità della vita”.

    Parlare di esigenze dello sviluppo da un lato ed esigenze della protezione ambientale dall’altro è pericoloso, è già di per sè frutto di una profonda ignoranza di quello che dovrebbe essere uno sviluppo armonico delle “comunità”. Sarebbe come dire che “il liberismo economico” volano della Grande Rivoluzione Industriale di metà Ottocento, sia stato in virtù di dinamiche interne fautore di uno sviluppo più “etico” in una fase successiva, creando le premesse per un benessere più diffuso. Niente di più falso! Certamente il “buon senso” può aver giocato un certo ruolo nelle pianificazioni economiche dei governi, ma soprattutto il “conflitto sociale” ha giocato la sua partita più importante e l’idea che il capitalismo è “non etico” per essenza e non che può essere più etico!

    Sappiamo anche che il “fattore paura” per certe derive rivoluzionarie può aver favorito le riforme sociali, come nel Regno Unito dove, a differenza che in altri paesi, la stessa sinistra anche radicale, che conosceva Marx, era nata riformista, abbandonando da subito la prospettiva rivoluzionaria come possibilità di risoluzione dei problemi. Dico questo per sottolineare un aspetto, il rispetto dell’ambiente non è “un di più” che solo il benessere una volta raggiunto può introdurre all’interno di politiche economiche cosiddette “di sviluppo”….certo se la gente sta bene è più facile che si pensi di più all’ambiente, ma non è questo il punto! Come nel caso del liberismo più “spinto” non si poteva aspettare che l’economia crescesse a dispetto di ogni vincolo etico, per poterla “eticizzare” in una seconda battuta, così non possiamo aspettare che pochi si arricchiscano e promettano posti di lavoro per recuperare (es. il Parco del Ticino) ciò che non si può più recuperare! Oppure che tutti escano dalla cassa integrazione (come avrebbe detto qualcuno) attraverso modelli di sviluppo obsoleti, per poi magari pensare all’ambiente. Come ci dimostrano i fatti della crisi attuale le cose non stanno così, e solo chi ha “una cattivissima coscienza” può dire che si può crescere rispettando il territorio;ciò sarebbe come dire che per ragioni economiche lo stato sia giustificato nello svendere tutto il suo patrimonio artistico e ambientale… per un futuro a corto raggio, perchè non si può avere “sviluppo” al di fuori del rispetto di un valore così basilare come il proprio territorio. Vari studi di “ecologia urbana” rivelano come la cura di un ambiente urbano sia assai spesso la premessa (anche in tempi di crisi) di un sistema di relazioni sociali più armonico, e come queste favoriscano (almeno in parte) l’instaurarsi di un certo ottimismo ponendo le basi per un riinizio.

    Ciò a cui volevo mirare con questo piccolo commento è il fatto che, Malpensa deve certamente continuare a funzionare, ma nel rispetto di regole stabilite dal territorio, dalla gente, e rispettando soprattutto il fatto di essere in un Parco…cosa che a molti può sembrare del tutto banale, ma che di fatto non lo è…come dire: “se sono abbruttito e degradato dentro, lo spazio in cui vivo, ad esempio casa mia, potrebbe portare i segni di questo degrado e favorire un degrado ulteriore”. Morale della favola? A mio modesto parere la domanda non è come far fare a Malpensa 35 milioni di passeggeri con sole due piste (anche se fattibile in termini strettamente tecnici), ma come trasformarla in risorsa, lavorativamente e nel rispetto di un Parco che può anch’esso essere una RISORSA (ricordiamoci che lUNESCO nel 2002 l’ha riconosciuto riserva della biosfera, votata allo sviluppo ecosostenibile)! Quindi va bene Malpensa, ma nei limiti..e potenziando le reti ecologiche già esistenti intorno al sedime aeroportuale….per far rivivere il Parco e territori bellissimi, che solo un patto faustiano (o di onnipotenza, il riferimento e al mito di Faust di Goethe) può condannare alla morte senza arricchirci veramente…e non solo con cifre neutre, asettiche che tanto dicono quanto nascondono. Ripeto, la critica non è all’articolo, ma ad un certo modello di sviluppo, che nella nostra Italia vanto mondiale di civiltà….crede ancora alla storiellina, che se le cose vanno male occorra “svendersi”, magari semplicemente adattandosi alla morale dei vincitori (direbbe un filosofo come Banjamin!)…Viva via Gaggio! e che sia preservata per le ragioni future!

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